sabato 5 ottobre 2013

La Politkovskaja e i suoi eredi

Per Anna

Quest'anno il premio Anna Politkovskaja è arrivato alla sua quinta edizione, in un percorso di celebrazione del giornalismo etico, quello che si trasforma in impegno civile, in militanza. Tutto questo era Anna.
La Politkovskaja è morta proprio nel giorno del mio ventiduesimo compleanno, il 7 ottobre del 2006, quando l'idea di poter vivere di giornalismo non era ancora sfumata.
Quel giorno avevo sentito la notizia di questa donna, mamma, intellettuale e giornalista uccisa nell'ascensore di casa sua a Mosca.https://twitter.com/LuisaFoti/status/386260495038423040/photo/1
Volevo sapere chi era e da chi era stata uccisa.
Anna aveva creato non pochi problemi al governo dell'ex Unione Sovietica, con le sue inchieste sulle provate violazioni dei diritti umani in "quell'angolo di inferno", la Cecenia.
A distanza di sette anni, ancora non si sa chi ha armato il braccio che ne ha causato morte. Tra processi da rifare e segreti di stato inconfessabili, sorge il sospetto, o qualcosa di più, purtroppo, sulla responsabilità del regime di Putin. La sua storia rappresenta un paradigma universale: più i regimi sono dittatoriali o falsamente democratici (e noi ne sappiamo più di qualcosa), più cresce, in proporzione, il bavaglio. 
Il principio di conservazione dei regimi obbliga alla eliminazione, anche fisica, di tutti i soggetti 'scomodi' e a disattivare i meccanismi di trasparenza azionati dalla cittadinanza attiva e dalla stampa virtuosa.
Nei regimi, la stampa non è che uno strumento di accrescimento del consenso attraverso un calcolo che trasforma il giornalismo in propaganda e l'informazione in comunicazione.
Diventa (quasi) una regola scientifica, messa in luce dalla Storia e confermata ogni anno da attenti analisti.
Senza guardare al sistema politico specifico di ogni stato, reporter senza frontiere evidenzia questo dato: la stampa è maggiormente limitata nei paesi in cui i diritti non sono garantiti nè il potere separato.


http://rsfitalia.org

"La Classifica della Libertà di Stampa 2013 pubblicata da Reporter senza frontiere non prende in considerazione diretta il tipo di sistema politico; risulta chiaro tuttavia che le democrazie offrono una migliore protezione alla libertà al fine di produrre e far circolare notizie e informazioni accurate, rispetto ai Paesi dove i diritti umani vengono spesso sbeffeggiati”, ha spiegato il segretario generale di RSF Christophe Deloire, presentando il rapporto sulla libertà di stampa nel mondo di quest'anno.
In questi rapporti, i giornalisti trucidati non sono che "indici" di una pessima libertà di stampa, gli ennesimi innocenti di cui parlare per un po', sulla cui morte indagare ma che prima o poi verranno dimenticati.
Per Anna, così come per pochi altri, non è stato così.
La morte della giornalista russa ha fatto molto discutere e anche la stampa europea non ha mai abbassato i riflettori su questo caso.
Tra libri e notizie sul web, stavo conoscendo Anna. Poi ho visto le sue foto.
Fu questo a colpirmi di lei: il suo volto forse molto di più delle sue verità.
Dico sinceramente che se Anna avesse avuto un'altra faccia non mi sarei così appassionata a lei. 
Sembrava una di quelle maestre buone di cui hai un bel ricordo, quasi una madre. Una donna che avrebbe potuto abbracciare i suoi amici calpestati in Cecenia così come i suoi figli russi.
Ora non c'è più ma ci ha lasciato tante cose...

Anna e la sua eredità

Ad aggiudicarsi il premio quest'anno è Chouchou Namegabe, una giovanissima giornalista congolese che si batte per i diritti della donne del suo paese. Chouchou è famosa per essersi inventata un'associazione che organizza corsi di giornalismo per le donne che hanno subito abusi. "Mi sono resa conto che nel mio paese non ci sono molte giornaliste, così abbiamo organizzato questi corsi anche per permettere loro di raccontare le violenze subite", ha spiegato Chouchou.
"In Congo - ha continuato la giornalista - le donne vengono violentate e lo stupro è diventato un'arma di guerra nella mani dei ribelli e dell'esercito". Ho sentito storie letteralmente inimmaginabili dalla voce di Chouchou Namegabe. Lo stupro delle donne ad opera dei loro stessi figli obbligati alla violenza o il racconto delle terribili torture subite, sono cose a cui non si riesce a credere e la Namegabe ha avuto il coraggio di raccontare queste storie nonostante le sistematiche minacce di morte.
Quello che posso dire è che Anna ha trovato un buon rifugio nel volto di questa giovane giornalista radiofonica, nel suo turbante, nel suo vestito colorato e nell'Africa, in quell'altra "fine del mondo" che ha voglia di emanciparsi. In Chouchou, Anna vive ancora.
Ora, non si tratta di consolazioni, di retorica, di idiozie o balle ma di un atto di fede. Quello di credere che la Namegabe possa perpetuare l'impegno e il ricordo della Politkovskaja. O si crede o non si crede. Se sono qui a Ferrara è soprattutto per questo Premio. E non ditemi che è poco ricordare e... credere.

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